domenica 12 agosto 2012

Margarethe von Trotta

    • LUCIDA FOLLIA 1982 Un film di Margarethe Von Trotta 
      Nel 1983 quando il film venne presentato a Berlino la critica maschile lo stroncò completamente. Infatti, gli uomini in questo film fanno una pessima figura. Ma non è soltanto un’accusa femminista al mondo maschile. Il film è molto più complesso.
      In primo luogo la regista voleva parlare della psicologia, della sensibilità femminile e dell’amicizia fra donne. Lei stessa ha detto che come c’è qualcosa di mistico nell’amicizia fra gli uomini, come tanti racconti ci narrano, ci deve essere anche fra due donne qualcosa di mistico, un modo di comunicare al di sopra delle parole, un’intesa emotiva. Il film è l’esaltazione di questa amicizia come medicina risanatrice per i problemi di Ruth.
      Ruth e Olga sono completamente diverse. Olga è bionda, sempre vestita di bianco, ha una casa illuminata, ama la vita, è realista e razionale. Ruth, invece, è bruna, indossa abiti scuri, è solitaria perché ha paura della gente ed è malinconica. Ha una percezione fantastica della realtà, insegue tutto ciò che è occulto ed i suoi disegni sono tutti in bianco e nero. Sono due persone complementari, la prima forte e desiderosa di donare fiducia all’altra; la seconda bisognosa di un’amicizia sincera, che l’aiuti ad uscire dalla nevrosi, dalle angosce causate dall’oppressione del marito e dal ricordo di suo fratello che si era suicidato.
      Olga e Ruth si conoscono quando Olga con un gesto spontaneo salva Ruth da un tentativo di suicidio. Poi la aiuta a liberarsi dalla forte oppressione del marito dominante.
      Non è però soltanto l’esaltazione di un’amicizia fra donne ciò su cui si sofferma il film. La von Trotta ha fatto un’analisi molto profonda sui rapporti interpersonali come rapporti di contrapposizione di cui la relazione donna-uomo è un caso particolare e neanche quello fondamentale. Ruth non è soltanto schiacciata dal marito ma anche dalla stessa Olga, nella quale ha riposto la propria fiducia, finendo così per dipendere dal suo giudizio. All’inizio Ruth aveva bisogno di comprensione e solidarietà da parte dell’altra donna per prendere coscienza di sé e trasformare le sue tendenze autodistruttive in aggressività liberatoria. C’è quasi un rapporto di madre e figlia: viene evidenziato nell’immagine simbolica dove Olga conduce Ruth fuori dal tunnel. Alla fine Ruth uccide suo marito e la sua dedizione ad Olga diventa totale. Olga le impedisce di agire liberamente e riuscire da sola a ribellarsi al marito. Ciò significa che Ruth forse non è ancora riuscita a raggiungere un equilibrio stabile o non si riconciliata con la vita. Forse per questo il finale risulta aperto. La von Trotta si limita a suggerire delle ipotesi:
      1. con l’uccisione del marito, girata in bianco e nero, come tutte le visioni di Ruth, questa risulta definitivamente guarita dalla sua nevrosi, oppure…
      2. considerando l’inizio del film come la fine, Ruth finisce in clinica psichiatrica?
      Il film potrebbe anche prestarsi ad essere letto tutto in chiave onirica, e cioè come un sogno originato dal desiderio di Ruth. Ma questo non fa parte della poetica dei film della regista.
      Il suo film è un’analisi del reale sentimento dell’amicizia femminile e dei rapporti interpersonali. La difficoltà di stabilire rapporti umani equilibrati che non siano di prevaricazione del più forte sul più debole è un tema universale. Chi è forte cerca istintivamente di autoaffermarsi mediante il dominio sull’altro, mentre chi è debole non trova il coraggio e la motivazione per reagire, anzi, si sente ancora più attratto dal dominatore. In questo film però Olga giunge alla consapevolezza di aver bisogno degli altri perché nessuno è autosufficiente. È lei l’unica in tutto il film che alla fine piange dicendo a suo figlio: “Ho bisogno di tè”.
      Ogni donna è un po’ Olga e un po’ Ruth. Non solo, anche Olga può diventare Ruth, come Ruth può o potrebbe trasformarsi in Olga. Infatti, colei che “salva”, che offre appoggio e comprensione si trova un giorno a vivere l’abbandono, a chiedere conforto.
      La regista è andata molto a fondo nell’esplorazione del pianeta donna. Il film è un bellissimo studio introspettivo condotto con sensibilità e profonda intuizione, che si traduce anche sul piano costruttivo, nella descrizione dei primi piani. Il film si avvale della loro forza espressiva, dell’interpretazione magistrale delle due protagoniste. L’una esprime sicurezza vitale e sensibilità nello sconforto che la porta alla forte reazione nella lucida visione di una realtà opprimente; l’altra esprime fragilità, nella paura, nella follia di un dramma esistenziale.


      inviato da Mariagrazia Di Bello
  • Sabato

1 commento:

  1. Premi ricevuti da Margarethe von Trotta
    Nel 1981 ha vinto il Leone d'oro e il FIPRESCI Award al Festival di Venezia e nel 1982 il David di Donatello per "Anni di piombo". Nel 1986 e nel 1988 ha ricevuto la nomination alla Palma d'oro a Cannes per "Rosa Luxemburg" e per "Pane e amore".

    Curiosità su Margarethe von Trotta
    Attrice e sceneggiatrice, debutta nella regia nel 1975 con "Il caso Katharina Blum" che dirige insieme al marito Volker Schlöndorff. Nel 1981 ottiene fama internazionale con "Anni di piombo", di cui realizza sceneggiatura e regia.



    Filmografia di Margarethe von Trotta
    Margarethe von Trotta regiaRosenstrasse (2003)

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