domenica 15 luglio 2012

Flush. Biografia di un cane. Dal libro di V.Woolf edito da Baldini e Castoldi

Qualche  appunto sul racconto di una delle più grandi scrittrici del 900




Un piccolo capolavoro dell’arte orafa della scrittura dell’autrice inglese, questo racconto lungo recentemente ripubblicato da La Tartaruga nella sua nuova veste sotto Baldini Castoldi Dalai. Una perla che rotola sinuosamente da una vita all’altra, fuori e dentro l’umano: il pretesto è, infatti, quello di raccontare la storia della vita di un cocker (e difatti il libro si apre con una lunga digressione sulle razze canine, sui pedigree e sulla remota origine degli spaniel). Ma a poco a poco, affascinati dalla sempre fluente, palpitante, viva scrittura della Woolf, scopriamo che questo cocker il cui nome dà titolo al volume (Flush, appunto) è nientemeno che il cane di Elizabeth Barrett. E che dunque la sua vita è il perno della narrazione attorno a cui si allarga e dipana la storia di una delle più importanti poetesse di lingua inglese, molto amata dalla Woolf, nonché della sua storia d’amore con l’altrettanto significativo poeta Robert Brownings. L’espediente letterario usato, nella sua inusitata originalità, è già misura della particolarità dell’opera, da leggersi non solo per puro piacere della parola (qui bene appagato), ma anche come un modo nuovo di avvicinare l’amore umbratile per il non visibile/dicibile soggiacente sotto la crosta del visibile/dicibile che pervade tutte le opere della Woolf. Se Mrs Dalloway disegna un nuovo concetto di tempo, e di percezione, in modo implicito nella struttura del romanzo e nella considerazioni della protagonista, qui ci troviamo di fronte alla descrizione del mondo da parte di chi, il mondo, lo percepisce strutturalmente in maniera diversa dalla nostra. Flush conosce le cose con gli odori; vede nel buio, toglie peso alla vista per darne al calore del sole, agli spazi da correre, al residuo del passato che rimane su un oggetto. E nel suo modo unico di conoscere – egli percepisce passaggi, umori, abitudini col semplice sostare in una stanza e annusarla – pare influenzare la stessa Elizabeth. Che, abbandonati i fasti e i cerimoniali della plumbea Londra a favore dell’Italia in cui vive in piena libertà la sua storia d’amore con Brownings – sembra scoprire l’essenzialità e le ricchezze che contiene, proprio come un animaletto . “Tutti quei complicati oggetti dei suoi giorni claustrali, erano spariti. Il letto era un letto; il lavabo era un lavabo. Ogni cosa era quel che era, e non un’altra cosa”. Questo è il più grande insegnamento che il cane dà alla sua padrona, il riuscire a scremare l’essenziale dall’inessenziale, la vita dalla non-vita, l’esistenza dalla forma. Come se il mondo come lo conosciamo attraverso la modalità delle convenzioni umane fosse soltanto l’involucro che nasconde una più reale esistenza, fatta di ciò che non ha, secondo i nostri canoni, peso. Ombre, gesti, forme, colori, suoni durante lo scorrere di queste vite e questi amori paralleli assumono sensi nuovi, peso diverso, fino a rendere il reale qualcosa di estremamente semplice e come complicato da segni, istituzioni, razionalità, mancanza di empatia, ottusità. In sintesi, ciò che rende difficile la vita dell’umano.
La Woolf riesce insomma, con tratto leggerissimo, a sondare un intero modo d’essere e a toccare i suoi più cari e ricorrenti temi. Senza mai strabordare, né porsi in cattedra, ma restando bassa sulla terra, a misura d’animale che patisce ogni mossa d’uomo. Semplice fino all’osso e con questo coerente, poiché di semplicità nella complessità ha da parlare. Un esempio di buona, pura arte narrativa, che in certi tratti tocca aspetti lirici, come è tipico della scrittura di questa grande maestra di cui questo racconto è una vera miniatura. 

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