giovedì 2 agosto 2012

Daniela Cattani Rusich


Daniela Cattani Rusich

Figli diversi della stessa luna
Daniela Cattani Rusich si immerge e ci immerge, al primo incanto, nella levità assoluta del verso, la poesia per antonomasia ancestrale, in un sogno post-crepuscolare rinverdito da una neo-figurazione critica, ambiversa. “Fremono di argento vivo gli anni acerbi, crescendo l’erba ai bordi del pensiero, e il tempo è oceano stellato senza fine..” “Le nuvole di oggi mi attraversano il cuore: sono gocce di pioggia, e di sole cadute.. gli aquiloni strappavano il filo, e restavo a guardarli volare”. E’ Aria, come lei stessa narra, è “..ossigeno, brezza, vento .. impalpabile, invisibile, trasparente..”. La poesia sembra involarsi nel ludibrio di sé, unica pace possibile, il segno di presenza in elementi naturali o nei moti impervi, ma cautamente celati, del nostro opalino interiore “Luna a rovescio dentro lo specchio del mio sogno, tengo stretta tra le mani nelle notti silenziose”. Dalla lirica “Mia viandante senza tempo (a mia figlia)”: “Eppure ho il tuo sorriso sulla pelle, come un destino ricamato a mano, l’istinto a vivere – languida carezza – unica arma che possiedo, in pace e in guerra”. Ma è proprio la ricerca dell’iperbole cantata ad insinuarci l’idea di una calma solo apparente.
“Calano sipari lunghi, gli anni invasi, frutti maturi esplosi, come bombe a mano”. E non è il ricorso al lessico di guerra, questa guerra che ci appartiene, ad introdurre la poesia del dilaniamento, ma l’ancora tenue e lieve accadimento “mentre bevo il mistero, che pian piano mi invade”. Poesia presaga quella di Daniela, che il Bene e il Male articolano il cammino come due gambe dello stesso tronco. E’ il mistero del perché ciò sia, e neanche il dubbio, in quanto il verso spigliato non ne dà adito, “Arresi a un viaggio smisurato e fragile .. sopravvissuti in volo” , “Danza sulla mia lingua – danza senza pensare – che tutto il bene e il male, scorrono via come un tormento”. Ogni poetare verte su un mistero, quello di Daniela è il tempo, che livella i facili entusiasmi e le ispide rinunce, “Il tempo è argine sfiancato di speranze”.
Nella lirica “Porrajmos” , sullo sterminio nazista degli zingari, oltre agli ebrei, Daniela anima un intenso confronto fra dannazione e redenzione, “Insito è il male nella natura” fa dire al nazista “la libertà è un vizio capitale”, risponde lo zingaro “Siamo zingari e abbiamo le ali, scorre la vita nei nostri capelli..” e di contro “bastardi noi non ne vogliamo, la razza va salvaguardata..” e infine “E allora dimmi, soldato, dimmi, perché sollevi la mia sottana? perché mi frughi fra i vestiti, spingendo la lama dentro ai miei sogni?” . Più che antitesi fra Bene e Male in quanto tali, distinzione capziosa in quanto esiste l’uomo e basta, è il grido poetico della frattura che esiste fra amante e amato, l’uomo verso se stesso, prima ancora che verso il suo simile. Siamo “Figli diversi della stessa luna”, ma qualche capoverso in avanti “ - figli bastardi della stessa luna -”. E’ la coscienza, amara, che l’Amore, cantore di ogni poesia, si nutre di ferite, “O forse perché inverno ci raggiunge sempre, da lontano, come una perla che rotola piano.. cadendo soavemente sulle ferite aperte”.
E allora subentra la carne, è una regola, come salasso sacrificale, “La parola, soltanto, gronda sangue”, “Mi puoi fare, dire, baciare, sbagliare, giocare, volere, impazzire… farlo subito e sentirti morire.” .. obnubilata, “..le mie nuvole, le ho succhiate da piccola..”, dall’amore cieco “Gli occhi di un cieco tu li hai mai guardati? Sono rivolti al sogno che non muta”. E’ un grido disperato che si fa ferita “..ogni ferita è un crocevia d’istinto”, che si fa amore per l’aguzzino, sindrome di Stoccolma, per liberare l’afflato universale svanito “..da che fui venduta a un mercante spiantato di sogni e poesia”. L’urlo si lacera, dilania, “Strappati un po’ anche tu quel sorriso, dalla faccia di bronzo.. e con me fottiti l’amore di carne, in vanagloria della sfida alla morte”.
“Voglio tagliente la tua spada nel fianco: su ogni petalo della rosa dei venti, su ogni punta della stella puttana, su ogni notte morsa coi denti”.
Daniela è magica nel suo modo d’amare, e ricordarci l’amore che era, e che è.
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1 commento:

  1. E’ innegabile la purezza, l’equilibrio e la musicalità di questi versi pur nella loro sincerità e concretezza di forma e contenuto. Su quest’ultimo mi soffermerei perchè toccante e appassionato tanto da restare inciso nell’animo del lettore.
    Partiamo dalla chiusa. La parola è uno strumento espressivo importantissimo, duttile, efficace, rivelatore dei moti più intimi.
    Qui è talmente vera da grondare sangue.
    Nei primi versi è da rilevare la potenza dell’ossimoro; “ Arrenditi” si dice a un tu immaginario, “fra le mie braccia fragili”, dunque si intima un comando ma si ammette contemporaneamente la propria fragilità; segue poi una personificazione bellissima, “il silenzio nevica e assassina”.
    Si chiede assoluzione, perdono per l’inutilità delle proprie ambizioni, per la vanità dei propri desideri e per il crollo in certi abissi, gli alti e bassi che tutti ci ritroviamo a vivere. Ora c’è silenzio intorno ma occhi e pensieri sono rivolti al sogno, all’infinito, lo stesso che i ciechi possono solo immaginare, quello che cerchiamo di trattenere con tutte le nostre forze mentre il tempo,ignaro, continua la sua corsa.
    Tra le dita sembra che sia rimasto poco, dell’amore è rimasta solo la componente istintuale ormai divenuta “cibo per i cani”, che trattiene ancora alle cose terrene, ai limiti. Ma se la parola “gronda sangue”, non si deve temere di restare incatenati ai limiti, perché diviene il mezzo, il tramite che va oltre le cose terrene, raggiungendo un’universalità per la quale vale la pena vivere. In questa poesia infatti avviene il superamento di quella dimensione intimistica a cui molti si fermano: infatti partendo da una situazione contingente si giunge ad una onesta, palpabile comunicazione con il fruitore, ad un vero e proprio rapporto che la scrivente cerca con l’altro da sé, un rapporto fatto di empatia, di immedesimazione, di correlativi oggettivi e che fa la differenza rispetto ad altre liriche, perchè risulta più convincente. D. Mega

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