giovedì 2 agosto 2012

Nancy e Daniela


Nel suo recente volume di scritti filosofici sul fervore Jean-Luc Nancy nota che è il “ci” (di heidegeriana memoria) che segna e dice la nostra presenza al mondo: è il «ci sono» che apre il soggetto al mondo e il mondo al soggetto. Il pensiero e la lingua non vengono mai dall’astratto e individualistico cogito ergo sum di Cartesio ma, scrive Nancy, dall’esperienza dell’esserci, dal nostro vivere in quanto corpi in un certo luogo, in un certo tempo ed entro certe relazioni con altri e occorre dire, con Nancy; «io ci sono, io ci penso: il pensiero ci si trova, ha lì il suo peso specifico» .
Parafrasando la filosofa spagnola Maria Zambrano[3], possiamo dire che il poeta è colui che vive «un’unione erotica» con il mondo, colui che vive sentendo «nella propria carne l’ustione del mondo» e testimoniando ciò in parole sa dire sia il darsi immediato del reale, sia le “leggi” in esso inscritte: il telos, il “movimento” che agita ogni evento nel continuo darsi di “possibilità”, realizzate o solo in divenire. Nella grande poesia “l’interno” (l’interiorità emotivo-memoriale) dell’Io si collega con “l’esterno” (i dati concreti e tangibili del mondo) e viceversa, tanto che tale polarità esiste ma come tensione reciproca in atto proprio nella lingua poetica che testimonia, dunque, l’intreccio tra Io e mondo, la complessità e stratificazione dell’esperienza stessa. E’ questo “ci” di cui scrive Nancy a cui allude anche Adam Vaccaro con la «teoria della Adiacenza», tesa a cogliere come nella lingua poetica si intreccino le varie “parti” dell’umano, per cui la poesia non può mai essere interpretata solo come lingua dell’Io, ma anche come voce dell’Es e del SuperEgo, il che rimanda a istituti freudiani, ma applicati alla poesia.
Per un’ipotesi di poesia come lingua carnale del desiderio.
E la grande Daniela tenta proprio la via del linguaggio corpo-anima!

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