«Verso la fine del Settecento, o Secolo dei Lumi, tre giovani Signori, il principe Neville, lo scultore Dupré e il facoltoso commerciante Nodier, tutti di Liegi, dov'erano, chi per ingegno, chi per eleganza, e tutti per lo stile di vita mondano e altamente dispendioso che conducevano, decisero di fare un viaggio a Napoli per una ragione che dopotutto non era deplorevole».
Questo è l'incipit, e lungo l'andirivieni di questi tre personaggi arriva scompare ritorna, ombra di favola e più di realtà e dolore, la fanciulla e mai donna compiuta Elmina, «taciturna e dura, di fredda ma stordente bellezza, eroina d'amore quanto più non lo asseconda e tanto un ascoso segreto lo comprime e lo svia». Succede di tutto e il contrario di tutto in questa intramatissima storia che trabocca poi di laterali storie sfrenate e fuorvianti in un gioco in folle di vero, di falso, d'ambiguo, non senza malizie ed enfatizzazioni. «Senza la retorica - preavverte la Ortese - nulla di serio e di vero può essere detto, mancando quel falso ch'è misura o supporto vero». Falso, infatti, può essere o parere tutto quel che avviene, ed è splendidamente raccontato, in questo romanzo d'altri tempi eppure così specchio striato dei nostri tempi: e vi circola a ondate una inveterata demenza, che a togliervi ogni eleganza di allora fa intravedere piuttosto i nefasti pervertimenti di adesso, le odierne turpi ipocrisie, l'eterna «doppia verità» di una Napoli che non ha mai potuto avere un'unica faccia, e ogni volta celata ognuna da una maschera sull'altra, sempre per adattarsi e trasformarsi alla giornata, ma mai per vivere davvero, al più per sopravvivere.
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