SCRIVERE NEL NON LUOGO DELL'UTOPIA
Faccia molta attenzione, quando prende in mano
il coltello, il chirurgo!
Sotto quelle incisioni precise e sottili
s'agita colei che é sotto accusa- la vita
(emily dickinson)
il coltello, il chirurgo!
Sotto quelle incisioni precise e sottili
s'agita colei che é sotto accusa- la vita
(emily dickinson)
Qui a Trieste è nata l'esperienza pratica di distruzione dei manicomi ed é presente una rete di servizi territoriali, il dipartimento di salute mentale (D.S.M.), in grado di accogliere le domande poste da uomini e donne con sofferenza psichica.
Dal 1992, nel D.S.M., esiste Centro Donna-Salute Mentale, servizio pubblico che risponde al bisogno di cura delle donne che abitano nel territorio di riferimento.
Centro Donna nasce dall'incontro di donne portatrici di sofferenza e delle operatrici coinvolte nel processo di distruzione pratica del manicomio di Trieste e nella costruzione della rete di servizi territoriali a quello alternativi.
Senza il manicomio e senza la sua risposta totalizzante-l'internamento- la sofferenza psichica ha potuto esprimersi senza essere negata, separata e reclusa; e alle persone , non più oggetti di custodia e controllo, sono state restituite soggettività e differenze.
I bisogni inevasi, le voglie di trasformazione e di riconoscimento autonome conducono donne sofferenti ed operatrici all'individuazione di un terreno comune da inventare ed agire un "territorio donna", che oltrepassando i confini del territorio anagrafico, si estende a tutte le donne della città e della provincia, alle migranti, alle profughe.
Centro Donna è anche sede dell'Associazione culturale di donne "Luna e l'Altra", che si propone di.... "valorizzare l'identità della cultura femminile, di favorirne l'espressione, di promuovere iniziative atte a produrre spazi operativi per l'affermazione dello specifico femminile nel campo della salute, della giustizia e dei diritti" (dallo statuto dell'associazione).
Punto di incontro per le associazioni di donne della città vi si organizzano incontri, dibattiti, seminari, stages, corsi e laboratori di ricerca teorico-pratica su temi i più diversi quali: psichiatria, storia, arti figurative ed espressive, letteratura, scrittura, medicina naturale, in/formazione (su salute, corporeità, sessualità ed organizzazione dei servizi per le donne).
La maggiore attitudine delle donne a creare relazioni e reti di rapporti ci rende possibili pratiche che, a partire da un "sentire comune", restituiscono percorsi soggettivi e collettivi. É così possibile, superando le categorie della psichiatria tradizionale, leggere il disagio delle donne dentro le storie individuali di ciascuna e dentro processi storici e culturali determinati e riconoscibili: la cultura di Genere é un contenuto forte del lavoro.
La "con-fusione" tra salute e "follia" produce a volte sentimenti di tensione, a volte caduta di tensione o stanchezza fra le operatrici. É però, ormai, esperienza acquisita che quanto più alto é il livello e la qualità dei progetti tanto più si produce salute per tutte le donne. Anche il problema del potere (gerarchia dei ruoli e responsabilità istituzionali nel Servizio) si sdrammatizza e si modifica divenendo attribuzione/riconoscimento di autorevolezza e competenza nel fare cose insieme (dallo affrontare una "crisi", alla preparazione di una festa, all'organizzazione di un corso).
L'esperienza della "contaminazione" dei saperi (della psichiatria, della medicina, della storia, della filosofia, della politica) rende possibile una mobilità del potere fra le discipline, mai forti ed uniche; evita il rischio di riprodurre ulteriori specialismi, gerarchie fisse e rigidità incapaci di leggere la continua mobilità del reale anche all'interno del movimento delle donne oltre che delle istituzioni per la salute mentale.
Al Centro-Donna cerchiamo, così, di alzare il tiro del lavoro, in modo da rendere il disagio e la sofferenza non solo esperienza di tutte, ma esperienza superabile e, almeno in parte, rappresentabile.
Per trasmettere senza teorizzare non possiamo produrre modelli da trasferire, misurare e non possiamo tacere. Scegliamo la narrazione, la trascrizione del discorso diretto, lo scambio mobile dei materiali tra le donne nel Centro e fuori, ci rappresentiamo in lavori di continuo divenire, sempre attente ad evitare rigide codificazioni e travisamenti.
É la nostra una storia di trasformazione di un'istituzione totale, dentro la quale si intrecciano e si confondono le storie di tante donne, singole e collettivo insieme, di quelle che ci sono state anche solo per un momento e delle altre che da anni impegnano ore ed ore del proprio tempo per curarsi, lavorare, divertirsi, imparare ed insegnare, in un dare/avere che non conosce fine.
Storie singole, soggettive, che durante questo cammino si sono ricomposte, ciascuna potendo, proprio nella partecipazione ad un lavoro comune, ritrovare parti di sé, conquistarne di nuove, riproporsi alla vita non più come oggetto passivo di un fato ma come soggetto attivo di un'esistenza complicata, forse, ma comunque degna di essere vissuta.
Storie individuali, che tutte conosciamo, perché più volte ce le siamo raccontate, ma che finora abbiamo taciuto, tenendole dentro di noi come un tesoro da difendere e da non disperdere: un patto non detto ma da tutte rispettato, timorose di esporci, di far cadere il velo che intorno a noi avevamo innalzato.
Si sa, la psichiatria raccoglie la storia dei matti (si chiama "anamnesi") per dare senso al proprio agire, utilizza linguaggi "scientifici e neutrali" per nascondere la propria estraneità alla concretezza del quotidiano, tenta di ricondurre al razionale emozioni, affetti, sentimenti alla ragione estranei, costruisce categorie diagnostiche basandosi su una normalità statisticamente determinata e, così facendo, non può, non riesce mai a dar conto del "praticamente vero" della sofferenza. Parla di malattie e patologie utilizzando l'uomo, la donna che soffre come oggetto di ricerca e studio perdendo così, di necessità, il singolo, la singola che o del suo malstare diventa soggetto narrante o scompare perché alieno ed alienato del diritto alla propria parola.
Mentre parla di te la psichiatria ti interpreta, ti reinventa secondo un astratto modello e tu, uomo o donna, scompari, la tua corporeità si deforma, perde i suoi confini naturali per mescolarsi nel magma indistinto della scienza: quella frase, quel grido diventa uguale a quello di tanti altri, il tuo dolore si chiama depressione la tua gioia maniacalità, ed a nessuno importa se quel grido, quel ridere, segnalavano un fatto accaduto, una sconfitta od una vittoria che volevi comunicare.
Ed é per questo motivo che fino ad oggi abbiamo sempre rifiutato di partecipare al "delirio collettivo" della messa in scena delle "storie vere", di parlare delle donne di "Centro Donna" come di casi emblematici buoni per i numerosi talk shows televisivi o per una sotto-narrativa che da anni inonda il mercato.
Noi sperimentiamo la possibilità di una resistenza attiva agli psicologismi imperanti e siamo consapevoli della necessità di un cammino, lungo e faticoso, per rifondare le storie sulle vite di soggetti, individui e collettivi, sulle appartenenze e sui nomadismi delle identità.
Se intercaliamo normalità e normali follie, se ci divertiamo, non neghiamo diritto alla cura ma rivendichiamo la possibilità di aver cura di te dovunque tu sia: nel dolore angoscioso che separa dal mondo, nella solitudine dell'esilio dal mondo, nell'insopportabilità del mondo, nella sua "scientifica" irrapresentabilità.
Volevamo raccontarci, cercavamo un modo, una forma che questo rendesse possibile, abbiamo fatto numerosi tentativi: dai corsi di scrittura a quelli teatrali fino ad arrivare alla produzione di due video. Tentativi parziali, allusivi di una realtà complessa ed articolata mai fino in fondo compiuta.
E così siamo andate avanti in questi anni finché una scrittrice: Fabrizia Ramondino, non ci ha permesso di dar corpo e forma a quello che era, sì, un nostro desiderio ma anche, crediamo, un dovere nei confronti di quanti, uomini e donne, si pongono, per necessità o virtù, la questione del che fare per contrastare la sofferenza ed il malstare di questo nostro tempo.
Uscirà in febbraio, per le edizioni Einaudi, il suo-nostro libro "Passaggio a Trieste" (Taccuino di un soggiorno presso le donne di Centro Donna-Salute Mentale. Trieste, giugno-settembre 1998) dove lei stessa racconta come l'abbiamo chiamata, l'impegno che insieme ci siamo assunte e quanto é accaduto durante la sua permanenza con noi
Fabrizia, un'amica, che di tanto in tanto aveva, in questi anni, con noi condiviso alcuni momenti di vita e di lavoro; esperienze circoscritte, di breve durata, ma particolarmente intense e significative nel segnalare la possibilità di costruire legami ed intese forti anche a distanza, di riconoscersi e ritrovarsi, rompendo i confini astratti degli specialismi e delle competenze, sul terreno comune della fatica di vivere e della sua felicità.
Ciò che non dice, é come quel suo stare con noi, quel suo quadernino nero fitto di appunti, quella sua attenzione discreta e partecipante, ci ha dato forza e consapevolezza, come sia stato facile fidarsi ed affidarsi a lei, quanto ciascuna di noi ha imparato da quel suo continuo guardare ed esserci, e quanto sia stato importante per noi scoprire che narrarsi non solo é possibile ma addirittura divertente e gratificante.
Fabrizia ci ha reinventato dandoci la parola e la voglia di continuare e ricominciare la nostra avventura dalla nuova casa di "Androna degli Orti" dove ormai ci siamo trasferite.
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