giovedì 3 maggio 2012

Appunti L'ESSERCI IL NOI


Appunto n. 2
Esserci noi e la poesia
Il ‘non sapere’ rivelato permette al poeta di entrare tra le fessure del pensante, sradicando la parola dai valori univoci e monocordi del quotidiano per divenire arte del vissuto (proprio e altrui), dove desolazione e piacere non sono che rette parallele in un incontro senza misura.
La parola poetica è luogo presenza, l’esserci nel territorio della scrittura, nel dire carsico e condiviso, nelle tonalità sillabiche, nel suono degli a-capo.
Ogni testo ci rimanda a un luogo oscuro, alla profondità del senso, all’origine della parola.
Da questo principio la parola o la sua antiparola si fa poesia: monade di un ascolto, corrispondenza sentimentale in cui il fiore non è più strappato alla terra ma alla terra restituito decapitato, è il canto che si trasforma in voce e nell’incidere in silenzio un silenzio costituito da oscillazioni, cambi in cui cancellazione non è mai assenza, in cui i corpi sono dentro la poesia, e mai “ipotesi di un nome” ma “immagine (di sé)”, in un continuo perpetuo pensare il linguaggio.
La poesia è l’impossibilità di nominare la sola creazione, è l’immagine pensata, il non visto che si intuisce tra due specchi, due cammini.
La poesia disegna infiniti percorsi, la mimesi di una fine giunta che svela corpi uniti da radici uniche; è anche una rosa simbolo/testimone di un tempo effimero dove tutto finisce, dove l’amore si trasforma in amore che vive nell’invisibile in un nascondimento nel rifugio della vita; mascheramento del vivibile, carnalità come acqua liquida, carne non afferrabile.
Resta solo il fluire nel tempo di fronte a uno sguardo e quindi le grammatiche, i normali procedimenti comunicativi, tutte le strutture segmentali non hanno forza, non svvertono “di morire sul serio”.
La morte offre più possibilità: nella morte ancora ci si può permettere un errore legato a una prossima fine.
Il procedere il tempo – “minuto, calcolo d’ore” – è misurazione della dimenticanza, una musica nella trasparenza. nel vuoto. lo sguardo/la vita che non è più capace di dare vita.
La linea è il centro, la concentrazione dei punti, la somma degli attimi e la gola - cavità del suono, della rappresentazione attraverso la parola come suono, il respiro in nero per divenire nulla, per possedere il tutto nell’annichilimento del proprio essere.
Attraverso l’amore si arriva alla possessione senza possesso, in un tempo finito ancora in movimento, un tempo come lamina del vissuto su cui scivolano le idee in sospeso e i propositi fatti di parole.
Abitare la casa interiore può divenire il vivere in una scatola senza finestre né vento, senza neanche le parole da scrivere sul corpo nella ripetizione illimite, nel tentativo di restituire il pensiero alla parola, per non morire in ciò che ci restringe.

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